La scoperta

Il rinvenimento più sorprendente della Katane greca è il ricchissimo deposito votivo rinvenuto in piazza San Francesco a Catania e messo generalmente in relazione con il santuario di Demetra e Core conosciuto e citato dagli autori antichi. Il santuario è da ubicarsi, con buona probabilità, in un’area corrispondente al tratto più basso della via Crociferi, sulle pendici della stessa altura occupata dal teatro e ad oriente di questo. A poca distanza da quest’area, e precisamente nella piazza Santa Nicolella, Guido Libertini aveva rinvenuto all’inizio del XX secolo il rilievo votivo in marmo dedicato a Demetra e Core ed aveva per primo localizzato in questa zona della città il venerando santuario catanese.

L’area sacra, ora lontana dalla odierna linea di costa, più estesa per effetto delle colate laviche del XVII sec., era invece nell’antichità abbastanza prossima al mare; il santuario, almeno in periodo arcaico, aveva dunque una ubicazione ai margini dell’area urbana e gravitava sul porto della città, la cui localizzazione sembra oggi restituita nell’area dell’antica foce del fiume Amenano.

Il deposito votivo venne in luce nel 1959 nel corso di alcuni lavori eseguiti per la realizzazione di un condotto fognario nell’area compresa tra la chiesa di San Francesco e la statua del Cardinale Dusmet.

Articoli tratti da quotidiani pubblicati nel periodo della scoperta

Lo scavo

Lo scavo aperto per la sistemazione del condotto interessava un’area caratterizzata da un terreno poco consistente che richiese un’operazione di consolidamento delle pareti della trincea mediante due gettate di cemento. Una volta assestate le pareti della trincea, prese avvio lo scavo con i mezzi meccanici; esso fu interrotto al primo affiorare del materiale archeologico la cui maggiore concentrazione fu registrata ad una profondità di 2,80/3 m dal livello stradale. 

Lo scavo – condotto da Giovanni Rizza, allora Ispettore onorario della Soprintendenza di Siracusa – reso particolarmente difficile per l’affiorare di una falda acquifera che correva ad un livello più alto rispetto a quello in cui si concentravano i materiali, richiese l’uso di una pompa idraulica e non consentì il recupero di dati stratigrafici. 

Il deposito votivo era in realtà costituito da diversi nuclei di materiale, probabilmente diversi depositi cronologicamente distinti, individuati lungo i 27 m della trincea che dalla piazza San Francesco, scendeva verso via Vittorio Emanuele e via Gagliani. In alcuni punti, i materiali furono trovati inglobati nelle fondazioni degli edifici romani successivi.
Lo scavo del 1959 non mise in luce tutto il materiale votivo presente nell’area, ma solo quello recuperabile lungo la trincea. Fu subito chiaro che l’estensione del livello archeologico relativo all’area sacra doveva essere molto più ampia di quanto lo scavo non avesse evidenziato. La ripresa dei lavori per la sistemazione della fognatura, nell’estate dell’anno seguente (1960), offrì un’occasione unica per la prosecuzione dello scavo e la raccolta di altro materiale votivo.

Purtroppo, come ricostruito dai documenti d’archivio, nonostante l’intervento del Comune e della Soprintendenza, l’impresa appaltatrice dei lavori effettuò una veloce colata di cemento rendendo così impossibile il recupero di un’altra consistente parte del contesto votivo.

La scoperta effettuata nell’estate del 1959 si rivelò subito eccezionale per la quantità e la qualità dei reperti recuperati ed ebbe una notevole risonanza nella stampa locale e nazionale.

la formazione del deposito

I materiali rinvenuti nel corso dello scavo di piazza San Francesco sono dediche votive, oggetti che venivano offerti nei santuari nel corso di determinati eventi religiosi e che avevano la funzione di mettere in comunicazione il fedele con la divinità. È possibile che alcuni oggetti – soprattutto alcune forme vascolari – avessero avuto in un primo tempo una specifica funzione rituale: alcuni vasi, utilizzati per svolgere riti  – quali libagioni o combustione di semi o cereali sull’altare – una volta usati, restavano nel santuario ed entravano a far parte del materiale donato alla divinità. Il quadro restituito dalla realtà archeologica è tuttavia parziale, molte offerte fatte dai fedeli alla divinità erano in materiale deperibile e non si sono conservate nei secoli: vimini, legno ed altri materiali, ad esempio, ma anche semi, legumi e cereali crudi o cotti, ovvero cibi più elaborati quali pani e dolci. Fonti letterarie e iconografiche sono utili a ricostruire un settore della vita religiosa dei Greci altrimenti perduto.

I materiali nella Sala d’Armi di Castello Ursino

Oggetti e doni votivi si accumulavano nel corso del tempo all’interno del santuario, rendendo necessario un periodico svuotamento degli ambienti per far posto alle nuove dediche. 

Gli oggetti rimossi, che restavano proprietà della divinità, venivano talvolta intenzionalmente rotti in modo da non essere più utilizzati; essi erano raccolti in depositi, all’interno dei quali i materiali venivano disposti in modo ordinato, talvolta seguendo dei criteri determinati dalle dimensioni (come nel caso di Francavilla di Sicilia, ad esempio), o accumulandoli in file sovrapposte (piazza della Vittoria a Siracusa o Thesmophorion di Entella). 

Tali depositi, generalmente definiti dagli studiosi “depositi di scarico” o meglio “di dismissione”, costituiscono talvolta per gli archeologi la sola base documentaria per l’individuazione di un luogo di culto come nel caso del rinvenimento di piazza San Francesco a Catania.

La composizione dei depositi di piazza San Francesco restituisce una serie di informazioni fondamentali per la conoscenza della vita religiosa e sociale della città.

La facies arcaica del deposito votivo (VI – inizi V secolo a.C.) presenta forti analogie nella composizione con i maggiori complessi votivi del Mediterraneo e sembra delineare un culto rivolto ad una divinità femminile dall’ampia sfera d’azione, preposta al rinnovamento del corpo sociale attraverso la crescita e lo sviluppo delle nuove generazioni; crescita e sviluppo che per i Greci erano scanditi da precisi passaggi d’età che conducevano fanciulle e fanciulli dall’infanzia all’età adulta. 

Le migliaia di figurine di korai, fanciulle nel pieno della gioventù, rappresentate nell’atto di recare un attributo che ha un forte valore simbolico (un bocciolo, un pomo, un volatile o, nella maggior parte dei casi, una capsula di papavero), le più rare figure di kouroi, fanciulli rappresentati in diverse fasi della crescita, sono accompagnate da una serie innumerevole di tipologie votive (protomi, figure reclinate su kline, coppie, animali) che, se lette contestualmente, restituiscono un quadro coerente. A queste si aggiungono, tra i vari dati desumibili dallo studio del materiale, la notevole quantità di contenitori per essenze profumate e unguenti e le tante forme vascolari legate al consumo dei liquidi.

A Cura di

Antonella Pautasso, Ricercatrice ISPC CNR – Catania

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