Racchiusa tra due importanti archi, il portale di villa Cerami e l’arco di San Benedetto, con la sua bellezza ed omogeneità architettonica e predisposizione liturgica, la via Crociferi, grazie ad una sua immediata e attiva ricostruzione all’indomani del sisma del 1693, divenne il centro nevralgico di Catania, ancora oggi emblema della città da un punto di vista religioso, architettonico e storico.

Il drammatico sisma, che nel 1693 colpì la Val di Noto e la Val Demone, ha fortemente condizionato la storia di Catania e la vita dei suoi abitanti. La città etnea fu tra quelle che registrarono il più alto numero di vittime (su una popolazione di circa 20.000 abitanti morirono tra le 11.000 e 16.000 persone circa) e il più alto grado di distruzione.

Disegno settecentesco anonimo con la città di Catania distrutta dal sisma del 1693.
Disegno anonimo di Catania sconvolta dal sisma del 1693.

A seguito di questo evento si avviò una vera e propria ricostruzione che conferirà a Catania l’assetto e l’aspetto che oggi noi osserviamo percorrendola.

Il sisma, dunque, se da un lato causò una rottura decisiva nei confronti della forma articolata e disordinata che la città ebbe in epoca medievale, dall’altro portò ad una ricostruzione schematica e più ordinata secondo i canoni ottocenteschi

All’indomani del traumatico evento, il Viceré Uzeda in nome di Carlo II Re di Spagna e di Sicilia, assegnò al Duca di Camastra, Giuseppe Lanza, il compito di dare i primi soccorsi alle città colpite dal sisma e pianificare ed impostare il nuovo volto delle città distrutte. 

A Catania, il Duca, nello stesso anno del terremoto, provvide alla costruzione di baracche provvisorie in legno e a liberare dalle macerie le principali strade, fra le quali: via Etnea;  una parte di via Vittorio Emanuele II; via Garibaldi; via San Giuliano;  via Crociferi. La paura che si potesse ripetere un altro evento sismico delle stesse proporzioni era forte, di conseguenza altrettanto forte fu la volontà di rendere agibili le principali vie di fuga.

Giuseppe Lanza Duca di Camastra (Palermo 1630 - 1708)

Giuseppe Lanza Duca di Camastra, busto marmoreo sepolcrale presso la chiesa del convento dei frati minori a S. Stefano di Camastra.

Riprendendo quanto scrive S. Boscarino di Giuseppe Lanza «si conosce la (…) carriera politico-militare che lo vede capitano degli eserciti di Re Filippo IV nel 1654, deputato del regno nel 1672, maestro di campo nella guerra contro Messina nel 1674, sergente generale di battaglia nel 1678 e successivamente vicario generale di Siracusa e gentiluomo di camera (…)». 

Nel ruolo di magistrato rappresentante del Regio Governo il 16 gennaio 1693, subito dopo il terremoto, venne nominato dal Vicerè Uzeda vicario generale per la Val di Noto con pieni poteri. Forte delle esperienze acquisite in ambito urbanistico e accompagnato dalla collaborazione dell’ingegnere militare Carlos De Grunembergh, venne visto dai catanesi superstiti come l’uomo della Provvidenza ed unica possibilità di salvezza

Personaggio dalla spiccata onestà e precisione, caritatevole, coraggioso ma dal pugno forte ed intransigente, aiutò i bisognosi e si opposte ai ladri che,  approfittando del momento di difficoltà, circolavano nella città distrutta. Non pochi vennero impiccati per sua volontà. 

Egli fu una figura fondamentale, strettamente legata alla ricostruzione di quelle città siciliane, come Catania, distrutte dal sisma avendone regolamentato il sistema edilizio e viario su cui poi, in maniera meno controllata,  si svilupparono le città attuali.

Il Duca di Camastra, con una straordinaria sensibilità e un’attenzione del tutto moderna ai bisogni della collettività, stabilì i criteri generali da adottare per la ricostruzione, attraverso un proficuo confronto coi membri sopravvissuti del Senato, il clero e una deputazione dei ceti più poveri della città.

Egli progettò, pertanto, un piano ispirato principalmente da necessità di ordine pratico ed urgenza di ricostruzione, seguendo criteri di controllo della forma urbana propri dell’Età Barocca ed evidenti nell’uso di strade dritte e regolari – in contrasto con le precedenti strette e tortuose – scandite da ampie piazze o “plani”, che oggi vediamo e viviamo (ad es. piazza Duomo, piazza Università, piazza Stesicoro, piazza Mazzini, etc.); luoghi pensati anche come punti di raccolta per la popolazione nel caso del verificarsi di un nuovo evento sismico; spazi  che per la loro funzionalità,  servissero anche da riferimento per lo sviluppo del resto della città.

Tra i caratteri ottocenteschi del nuovo impianto, applicati tutti nella città di Catania, si ricordano: il controllo prospettico delle visuali, l’uniformità architettonica delle facciate degli edifici ottenuta grazie all’impiego dei medesimi elementi  ornamentali, materiali e colori; assi viari dritti e dalla lunghezza indefinita; incroci stradali perfettamente perpendicolari e lottizzazione regolare. In generale tutto venne pensato per rispondere ad una forma ed un aspetto equilibrato.

Secondo il piano di Camastra, l’intero tessuto urbano venne scandito da assi ortogonali, detti, appunto, assi “camastriani”. I principali, detti le “maestre”, erano ampi 8 canne (una canna è pari a m 2,064), i secondari, detti le “altre”, erano ampi al massimo 4 o 6 canne. 

Veduta della città di Catania di A. Vacca (1760 ca.), con indicazione degli assi camastriani principali (in rosso) e secondari (in blu).

Gli assi principali, veri e propri cardini urbani, erano la via Etnea, la via di S. Giuliano e la via Vittorio Emanuele II. Assunsero il ruolo di assi secondari invece: la Via Garibaldi, la parte occidentale della Via Vittorio Emanuele II e la nostra via Crociferi.

I principali soggetti impiegati nella ricostruzione degli edifici furono la nobiltà ed il clero, favoriti entrambi dal governo nei  loro interventi edilizi.  

Accanto all’azione del Duca di Camastra, infatti, particolarmente attiva fu anche quella dell’allora vescovo di Catania, Andrea Riggio. Egli si fece assegnare i terreni migliori ed entrò in tutte le fasi della pianificazione della città grazie anche alle agevolazioni economiche di cui godette.

Tra le strade principali oggetto di ricostruzione ad opera del ceto ecclesiastico troviamo proprio la via Crociferi

Essa, chiamata in diversi modi (strada Sacra, strada Nuova e strada del Corso) e successivamente denominata via Crociferi per la presenza del convento dei Padri Crociferi famosi per la loro assistenza ai “moribondi”, ricade in modo quasi perfettamente centrato nell’area “nobiliare” e, non a caso, infatti, è caratterizzata proprio da importanti architetture ecclesiastiche. 

La via Crociferi, dunque, con la sua storia, segna in maniera non indifferente la vita della città di Catania. Essa doveva essere emblema della sacralità della città, già dalla fase pre-sisma del 1693 ma eredita e continua questa funzione, in maniera ancor più amplificata, nella Catania post-sisma senza mancare di dar grazia anche alle classi nobiliari del tempo.

Agli occhi dei frequentatori, la sua organicità, la sua coerenza ed il suo prestigio architettonico non passano in secondo piano grazie al tripudio di edifici tardo barocchi che la caratterizzano e distinguono rendendola una via unica nel suo genere, ammirata non soltanto da chi viene a visitarla ma anche da chi la vive quotidianamente ed alla sua storia si lega.

Lucrezia Longhitano

Lucrezia Longhitano

PhD in Scienze per il patrimonio e la produzione culturale – Università di Catania, Disum

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